Il cibo nell’arte contemporanea, un percorso di analisi sociale

Il cibo come cultura
Soddisfare il bisogno naturale di nutrirsi, tra percezione di sazietà o di fame, è una peculiarità di tutti gli esseri viventi, impegnati nel tempo a garantirsene sempre la disponibilità. Tutti gli animali, compresi gli uomini soggiacciono a questa necessità. Anche le cellule umane si tengono accumuli e riserve di energia e glucosio da parte, in ricordo di storie fisiologiche mancate.
L’uomo, però, del bisogno riesce a farne quasi una virtù, tant’è che la differenza tra animale e uomo sta in un’entità astratta, mai definibile, un prodotto di “storia mnemonica”: la cultura. La cultura è un di passaggio di dolore, trasmessa di generazione in generazione, come intendono comunicare personaggi autorevoli tra cui Rousseau, Leopardi, Nietzsche.
Questo concetto astratto, difficile da definire e contemplato da centinaia di antropologi come intuizione intellettiva, diventa palpabile nella realtà di tutti i giorni e nel bisogno o voglia di cibo; così che l’uomo, attraverso la sua cultura, la rende immensamente interessante anche per l’arte contemporanea.
Andy Warhol nella sua prima personale espone barattoli di zuppa al pomodoro (Campbell’s Soup Cans) in ripetizione numerica, pensando alla società e al consumismo.

I conflitti alimentari al centro della performance di Vanessa Beecroft (VB52) evidenziano la relazione odierna tra cibo e individuo.

L’approccio all'alimentazione in una società di consumi
Se l’evoluzione biologica ci ha trasformati nel tempo, è auspicabile che anche l’evoluzione intellettiva ne segua il passo. E’ ora di rivedere le nostre scelte alimentari, al dì là del veganismo o del vegetarismo, cercando di mediare il nostro senso di carnalità.
Lo sviluppo della società dei consumi, in particolar modo nei paesi progrediti, porta ad una scelta della qualità più che dalla quantità. Mangiare carne animale eccessivamente, risponde forse all’istinto animale, ma castiga il nostro intelletto evoluto.
L’uomo si è sempre distinto per la sua abilità di costruire intorno alla cultura una collettività civile, in un tormentoso percorso necessario a rispettare tutti gli elementi viventi in essa.
Nel rispetto di ogni forma vivente, bisogna prepararsi ad invertire la marcia ossessiva di “cibo animale sprecato”, diventato oggetto da incarto nei supermercati.
Il rimedio? Potrebbe essere quello di tornare a comprare e allevare carne della propria zona, evitando di fornirsi da allevamenti intensivi, seguendo regole più rigorose per la vita, la commercializzazione e l’abbattimento del bestiame e del cibo animale.
Cibo sprecato
Nella mostra “Seminterrato Tanzi – Guanciali, aperta lo scorso maggio a Loreto Aprutino, Pescara, ho esposto l’opera Cibo Sprecato, uno dei pezzi del mio progetto Chicchiria Poultry che riflette proprio su questo argomento.
Su un classico piatto ho costruito un supporto in resina per il sostegno di un baccello particolare; è una riproduzione in resina epossidica di un baccello della pianta Gleditsia Triacanthos (Spino di Giuda o spinacristi) sulla quale troneggia un “gallo-forchetta” conficcato in un groviglio di fili di ferro, simile a degli spaghetti. Il tutto è contenuto da altri due baccelli dipinti.

I baccelli della pianta Gleditsia Triacanthos sono commestibili e si usano come foraggio per i bovini; i semi in essi contenuti vengono dispersi dagli erbivori, in particolare bovini e cavalli che consumano i baccelli e rilasciano i semi intatti nei loro escrementi.
In autunno i numerosi baccelli secchi rimangono appesi all’albero spoglio e risuonano al vento come una ninna nanna. Questa visione, oltre alla natura stessa del frutto, hanno ispirato la realizzazione di quest’opera.